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Source: Gong - Mensile di Musica e Cultura Progressiva, nr.2, 1975, p.23-26 
Author: Marco Fumagalli

Popol Vuh - Mandala

“Colui che non può contare su alcuna musica dentro dí sè / E non si lascia intenerire dall'armonia concorde di suoni dolcemente modulati / E' pronto ai tradimenti, agli inganni, alla rapina / Nessuno s: fidi mai di un uomo simile” (8hakespeare, Il mercante di Vencia, V, I)

…ed agli inizi degli anni ‘50, una scoperta di notevolissimo valore storico: il libro sacro di una tribù indiana, i Quiche. Discendenti diretti dei Maya, i Quieti si distinguevano dal più consistente ceppo Hopi per i rituali particolarissimi, costantemente incentrati sulla potenza dinamica del suono ed i suoi effetti psichici. Popol Vuh — questo il nome del libro — sembrava echeggiare tesi elaborate a centinaia di migliaia d' chilometri più ad Oriente, nell'antica India... popoli diversissimi tra di loro che suggerivano un' identica teoria della genesi del mondo, ed una religione straordinariamente evoluta...

La Germania stava conoscendo una fioritura cultural-musicale senza precedenti. Nel, 1970 Amon Düül e Can erano già molto di più di un'allettante promessa: facili prede di chi avesse voluto applicare alle loro elaborazioni i luoghi comuni di un'iconografia da cartina geografica. Foresta Nera, Hänsel e Gre-thel, sconfinando un poco anche il vampiro della Transilvania: l'etichetta per gli sprovveduti lettori del Melody Maker già pronta, un'utile contrappunto al “dutch sound”  degli Shocking Blue...

Poi il tramonto di tante illusioni e il viaggio/fuga senza ritorno verso Katmandu per migliaia delusi da un maggio quasi surreale: qualcosa di terribilmente forte che risuonava da millenni nella terra di Tagore, forse quel ”misticismo” (misticismo?) conosciuto dietro il sogno LSD, il miraggio di un Tutto facilmente ricacciato — razionalmente — nell'armadio delle allucinazioni. Fino ad allora “metafisica” era sembrata quasi una parola oscena, buona per sacerdoti gesuiti e gioventù cattolica (ha): e la rivoluzione era appena dietro l'angolo, frutto di un determinismo matematico, perfetto, inevitabile. E qualcosa si era rotto troppo presto: nei dormitori di Kabul tantissimi francesi con il colore delle barricate ancora negli occhi, ma il corpo ed il cervello già innamorati di meditazione zen, di una via alla liberazione che solo qualche mese prima avrebbero seccamente bollato come “reazionaria e fumettistica”. Ma la capacità di discernere, il Giudizio — iniziavano ad imparare da volti bellissimi di indiani con profonde rughe di saggezza — è un dono troppo importante per essere sprecato in una frase, incollato ad una situazione con cieca sloganistica, privato stupidamente dei suoi essenziali attributi dialettici...

Florian Fricke, Popol Vuh: “Noi cerchiamo I'unità materiale ed immateriale dei suoni e del microcosmo umano; le strutture di base, armoniche e sonore, che recano in sè la forza della trasformazione. Così noi stessi sperimentiamo la musica come una testimonianza, e questo messaggio lo trasmettiamo ad altri”. L'uomo non ascolta musica solo con le orecchie, ricorda la corrente esoterica sufica di Harzat lnayat Khan: ma con ogni poro del suo corpo. ll suono influisce sul sistema nervoso, sul ritmo cardiaco: ed ogni emozione produce una ben precisa modificazione sulla corteccia cerebrale dell'individuo.

In Den Gärten Pharaos, nel '7I, è il primo stupendo tentativo dei Popol Vuh di avvicinare questa dimensione dell' “ascoltare musica” proiettata nell'inquietante profondità della coscienza individuale. Dopo un precedente Lp (Affenstunde) che aveva soltanto contribuito a creare qualche ronzio pubblicitario (“Il primo gruppo tedesco ad usare il Moog! Wham! Il fallo cosmico dell'età acquariana).

Un'opera di scrittura solenne. corposa. ma per nulla magniloquente. Un brano di venti minuti — Vuh — giocato su un immenso organo a canne, e che si ricollega idealmente all' Irrlicht di Klaus Schulze, resta ancora oggi uno dei manifesti più brillanti della nuova musica tedesca. Un nodo alla gola: le strutture mentali che sembrano volersi dissolvere, per liberare l'essenza più intima, “cosmica” , della persona. Maestosi cori di potenza quasi terribile nati e scomparsi a misura d'istante tra le pieghe del suono, forse solo rifrazioni sonore di un respiro ancestrale: la veloce illuminazione dell'inutilità del tono, delle ineguagliabili sintonie a portata di una sola nota. OM …

Qualcosa che esce davvero dalla dimensione della semplice audizione, in definitiva. Ma perché un'attrazione così magnetica, la voglia di scendere ogni scalino di coscienza, il turbinare di pensieri, il sapore nuovo? Ogni tono, ogni ritmo possiedono forse una ben precisa influenza sul nostro tono, sui nostri ritmi vitali. Ma cogliere dietro tutte queste considerazioni l'essenza vibrazionale dell'essere umano significa creare musica universale, capace di arrivare a tutti con eguale intensità. Proprio questa è la dimensione cui puntano i Popol Vuh: assolutamente liberi da qualsiasi problema di estetica. Mi sono sentito domandare, tante volte, “ma questa musica insomma, è bella?“ No, non è ”bella”. Eppure è fantastica, è...

Ricorda Fricke, in un veloce excursus sui temi basilari del buddismo e dell'induismo: “L'uomo può vivere su sette livelli di coscienza. All' ottavo, divino. solitamente irragiungibile, può pervenire con il Canto, o con la dedizione al suono interiore, OM. L' orecchio è il grembo materno di questo suono che irrompe e subito 'colora lo spirito', come dice un proverbio indiano. E così parola e canto influiscono in modo determinante sull'equilibrio dell'uomo e, ordinati secondo un rituale religioso, contribuiscono nella maniera più perfetta ad avvicinare l'uomo a Dio”.

Qui Dio — lo ricordo a scanso di equivoci: attenzione, la differenza è sostanziale —non è una potenza misteriosa e superumana, il tetro volto punitivo del cattolicesimo. Dio sei tu, è un albero, un filo d'erba, un animale, il vento: o meglio ancora l'elemento comune a tutto questo, la forza vitale e le leggi non scritte che da milioni di anni regolano l'ordine dell'Universo: le stelle e le stagioni. il grano di riso sempre uguale nei secoli. E “Non è più un'utopia, ormai, credere che il rapporto esistente tra l'altezza dei suoni, il ritmo ed il cosmo da una parte e l'uomo, dall'altra, possano venire strutturalmente determinati entro i prossimi dieci-venti anni. L'India, invece, possiede già da molti secoli un patrimonio enorme di analogie tra musica e natura, musica e corpo umano, musica e sistema planetario. L'India possiede, per esempio, nell'aspetto formale di un raga, la chiave drammaturgica del mistero della penetrazione del suono nello spirito (“raga” significa emozione, n.d.r.). Se noi dovessimo riuscire, oltre che a conoscere, anche a vivere intimamente le conoscenze musicali che ci proponiamo di scoprire — e sulle quali, invece, il mondo orientale possiede un'enorme cultura che noi ancora non possediamo — allora noi saremmo di nuovo in grado di usare la musica come un potente mezzo terapeutico... “.

Proprio così: la musica veniva usata, anticamente, per guarire malattie anche gravissime. Rituali comuni ai pellerossa come ai Sufi, agli Assidi e ad alcune tribù africane, fino alle civiltà precolombiane. L'essenza della natura umana pensava — è acustica la malattia è una distorsione di questo suono, e può essere ricquilibrata portando il soggetto all'armonia primitive, sulla frequenza musicale ideale. Ah, il dileggio dei “civilizzati” di fronte “selvaggi” ed ai loro “stregoni”  non ha mai indagato tutto ciò, certo... la scienza delle pilIole sembrava molto più efficace (oggi un po' meno, vero? Ma quèsto è un altro discorso). Certo i Popol Vuh, parlando di musica come mezzo risanatore, non si riferiscono alla vostra influenza, o all'artrite di domani, “La peggiore malattia risiede sempre nel vostro cervello” dicevano gli antichi saggi: l'incapacità di vivere oltre i mille giochi della mente e dell'ego, l'ansia di cercare sempre la differenziazione prima dell'unità.

Hosianna Mantra è la pagina successiva: una luce che punta verso il centro della creazione, il frutto di una metamorfosi affascinante e per molti versi inattesa. E' scomparso il sintetizzatore, è scomparso il maestoso organo a canne, sono scomparsi i vecchi compagni Holger Trulzsch e Frank Fiedler. “Mi sembra oggi una strada più onesta e più bella cercare di purificare se stessi senza mezzi tecnici ausiliari: di interiorizzarsi per toccare poi, con una musica semplice ed umana, questo fiore delle tenebre o della luce, e cioè lo spirito” afferma Fricke. L'osanna della tradizjone cristiana ed il mantra orientale. il canto che attraversa le nuvole e sa ritornare al cuore delle persone e delle cose: religiosità senza un briciolo di religione, ciò che realmente importa è la sostanza del suono, la sua vibrazione. Piano, oboe, chitarra, violin, tampoura, voce: una dimensione estremamente sottile e sfumata, calda, intima. Musica alla portata di chiunque, e pure capace di reinventare pagine di poesia esplosiva: perfino il Kyrie Eleison che forse conserviamo in ricordi da dimenticare, campanello in piedi voci meccaniche annoiate che blaterano formule senza sapere perché come... Musica meravigliosa stranamente lontana da ogni tentazione barocca: Ah! e Hosianna Mantra soprattutto, quiete e contemplazione, la capacità di donare qualcosa di davvero vivo.

Il ritorno alla forma, certo: una scelta nella spirale illimitata delle possibilità. Immagini che si riproducono nelle profondità di un unico principio, secondo lince ben determinate: l'improvvisazione — e tutto il suo dolce carico/miraggio di libertà — sembra al polo opposto. Almeno sembra. Perché in realtà la dolcezza,  l'ispirazione densa di commozione che vivono in questi solchi riescono davvero a trascendere ogni estetismo inutile: perché la musica non si sublima nell'autocompiacimento, nasce in un innamoramento, evoca il seme dorato di un' immaginazione senza alcun limite...

E musica “cristiana” — cristiana, in questi tempi di Jesus Christ Superstar. Ingenuità? Misticismo Cieco? “Scoppiatura” Definitiva? Niente di tutto questo. “Nel corso degli anni, la musica è diventata per noi, sempre più, una forma di preghiera”, ricordano: Jemal, dicevano gli antichi indiani. Cioè un tentativo di esprimere se stessi nella profondità più estrema del proprio essere: oltre le maschere quotidiane. le paure. Lasciando fluire liberamente pudore, romanticismo, ricordi, marciume, tutto: per un suono “esultante e piangente”, appello alla Guerra Eterna che non è mai stata dichiarata e non è mai esistita, alla magia come sconvolgente rivelazione del proprio io.

Se i modelli culturali cui ci si riferisce sono proprio quelli cristiani, è perché i componenti dei Popol Vuh sono cresciuti in un'area storicamente segnata dal cristianesimo: Ma l'ambizione è universale, il richiamo fortissimo.

Mancava forse la pagina risolutiva, l'attimo di incontro tra passato e futuro; la riscoperta delle stesse possibilità espressive di una strumentazione più strettamente legata al feeling della nostra gente, batteria e chitarra elettrica su temi di inevitabile bellezza —perché no? Proprio qui. è nato Seligpreisung, passi del vangelo secondo Matteo — e qui non posso fare a meno di rabbrividire per lo scampato pericolo, se penso in termini di paragone alla Mass In F Minor degli Electric Prunes, o a “messe beat” di più nostrana memoria... — riportati sul pavé delle nostre metropoli: Daniel Secundus Fichelscher transfuga Amon Düül alla batteria, un ramoscello di elettricità...

Come si possano considerare i Popol Vuh epigoni teutonici del Jesus Freaks o di “Comunione e Liberazione”, proprio non riesco a comprendere. Popol Vuh non teorizza, non crede, non illude e non cerca di illudersi: insegue solo una musica che dovrebbe riuscire ad indurre un'emozione, una riflessione, una considerazione della propria esistenza ricca di scomoda lucidità. Il resto è lasciato al terminale uomo, a te: che la mente mangi la sua carne o esploda, o resti indifferente, o incerta, o rida di se stessa, o invecchi...

Forse c'è tutto questo, nella disarmante semplicità di Seligpreisung: add:rittura qualche flashback di California, le architetture eterne e delicatissime di Conny Veit e la fluidità nuova del suono, anche a costo di perdere qualcosa della natura mi colpisce irresistibilmente, una musica inverosimilmente lontana dai microfoni gelidi dello studio di registrazione: l'attitudine meditativa che si sfuma, esce nelle strade nel mondo tra la gente... Non più volti ingenui di sognatori spaventati dagli autobus, rinchiusi in una stanza a dipingere con tempere di Impossibile; il “giardino del faraone” e l'esperienza psichedelica davvero alle spalle.,. Musica gioiosa, comunicativa, sempre...

Fricke: “Nella pubblicità, nell'apparato propagandistico del capitalismo, la musica si incarica di creare un'atmosfera accattivante; di stendere un velo che serve a coprire la ragione, ad impedire di scegliere e di decidere. Gran parte della musica pop americana ed inglese si ritrova in ultima analisi in questo ambito deteriore, dove appunto l'arte dei suoni diviene corruzione od appare in strettissimo accordo con la corruzione. Questa non è un'affermazione categorico, è solo un'opinione. D'altro canto il clamore che un complesso come i Deep Purple solleva è di per se stesso distruttore: esso non è che una conferma dell'aggressività proprio là dove pretende di assumere toni sfumati... “

Credere in questa musica è un po' tutto questo, ma molte altre cose ancora. Una strada, indicazione che suona importantissima nella misura in cui contribuisce alla risoluzione dei vecchi dualismi elettronica/acustica, scrittura/improvvisazione, sacralità/non sacralità... Dove mostra la potenza dell'attività creativa come unica reale discriminante, oltre ogni schema: come sia possibile percorrere tanti cammini differenti, purché con autentica partecipazione, amore, vene limpide, voglia di conoscere mille cose e di imparare da ognuna di esse …

E se restassero brandelli della prima domanda, ancora, sulle labbra: ché proprio oggi? La risposta l'ha preparata, tanti anni fa, un volto che abbiamo conosciuto in tante occasioni... Hermann Hesse... A voi il gioco dei simboli...

“C'era qualcosa in quel traghetto e in quei due barcaioli che non sfuggiva a certuni dei viaggiatori. Accadeva talvolta che uno dei viaggiatori, dopo aver guardato in volto uno dei barcaioli, cominciasse a raccontare la propria vita, rivelasse sofferenza, confessasse torti, chiedesse consolazione e consiglio. Accadeva talvolta che qualcuno chiedesse il permesso di passare la notte con loro per ascoltare il fiume. Ed accadeva anche che arrivassero curiosi, ai quali era stato raccontato che vivevano a questo traghetto due saggi, o stregoni, o santi. I curiosi facevano un mare di domande,. e non ricevevano l'ombra di una risposta; non trovavano né stregoni né saggi, ma solo due buoni vechietti, che parevano muti e un po' bislacchi, forse anche un po' scemi. E i curiosi ridevano, e conversavano tra di loro ammiravano con quanta stoltezza e leggerezza la gente accetti e sparga sImili voci senza fondamento.....”